A Matera un bersagliere di 101 anni. Il racconto della campagna di Russia
In occasione del 67esimo Raduno nazionale delle Fanfare dei Bersaglieri, tenutosi a Matera il 19 maggio 2019, hanno sfilato, per circa due chilometri, 60 fanfare provenienti da tutte le Regioni d’Italia. Fra queste, la Fanfara degli iblei, sezione di Santa Croce Camerina, con Capo Fanfara Marcello Puglisi. Un evento di straordinaria imponenza che ha mobilitato tutta la città di Matera, capitale della cultura 2019. A rendere più interessante il tutto è stata la figura del bersagliere più anziano d’Italia, il signor Orazio D’Angelo, classe 1918, di Acireale in provincia di Catania, che con i suoi 101 anni, portati splendidamente, ha fatto la sua presenza al braccio del nipote Mario De Simone. Commosso, Mario ha raccontato che da quando suo nonno ha compiuto 100 anni, lui si è talmente interessato alla sua storia militare da redigere un documento in cui spiega dettagliatamente le sue campagne e tutto ciò che ha fatto, prendendo estratti sia dalle fonti scritte che dalle memorie personali del nonno. “È stato chiamato alle armi nel 1939, a Cuneo, e poi con l’entrata in guerra dell’Italia (Seconda Guerra Mondiale) il 10 giugno del 1940 è partito per il fronte occidentale, in Francia – ha raccontato Mario -. I bersaglieri presidiavano il confine e in due settimane hanno svolto operazioni di perlustrazione e pattugliamento. Sono rimasti lì per un mese durante il quale ha piovuto tutto il tempo”.
Ma il signor D’Angelo vuole dire la sua e inizia un racconto dettagliato sulla sua personale esperienza in Russia: “I tedeschi hanno rotto la linea e noi siamo tornati indietro e siamo andati fino a Spalato in bicicletta. Poi siamo ritornati al reggimento, ci hanno portato sul Lago di Garda e siamo partiti per la Russia. Eravamo volontari. Abbiamo sofferto tanto perché c’era troppo freddo. Nel 1940 la temperatura è scesa a 44 gradi sotto zero. I tedeschi ci avevano mandato lì ma non sapevamo dove andare. Avevamo un sottotenente, Paolo La Vecchia, lo ricordo bene come fosse qua ora, ha buttato all’aria l’elmetto, ha provato a partire ben 10 volte, ma non sapeva dove andare, diceva che eravamo un branco di pecore. Ci diceva ‘un popolo sostiene un governo ed un governo non è capace di sostenere un popolo’. Siamo partiti il giorno dopo e poi il nostro reggimento ha avuto i primi feriti. Da lì siamo scappati. Abbiamo attraversato molti paesi, mancavano 19 chilometri per arrivare a Mosca. Eravamo quinta e settima compagnia, l’ottava compagnia era quella pesante. Siamo stati 48 ore e hanno sferrato un attacco pazzesco. Il giorno di Natale del 1942 sono venuti tanti soldati, come delle formiche. Erano vestiti di nero e c’era tanta neve bianca. La nostra fortuna è stata che la sera sono arrivati 40 carri armati tedeschi, si sono schierati in linea e l’indomani è venuta una divisione di cosacchi, tutti cavalleggeri. Appena hanno visto i carri armati si sono schierati, fermi. Poi hanno dato la carica ai cavalli, hanno aperto il fuoco e non ne è scappato nemmeno uno, li hanno uccisi tutti. Noi ci siamo andati perché avevamo fame. Io non mangiavo carne di cavallo, loro la tagliavano, la cucinavano e la mangiavano. Così l’ho mangiata anch’io”.
Nel suo racconto non c’è nessuna esitazione, tutto scorre come i fotogrammi di un film. Quando gli chiedo che mestiere avesse fatto nella vita, risponde: “Io ho sempre fatto il pastore, avevo pecore, capre, mucche. Una volta l’epoca era bella”. Come non condividere il suo pensiero, c’era pochissimo, ma esisteva la felicità che adesso cerchiamo inutilmente e non riusciamo a trovare. Una lezione che il signor Orazio D’Angelo può insegnare e tutti noi.