Un “ortopedico” benefattore: il nipote racconta “U massaitanu Mannarà”
In questi giorni su Facebook circola una foto storica ove è raffigurata una intera famiglia. L’immagine, rigorosamente in bianco e nero, raffigura la famiglia del capostipite “U massaitanu Mannarà”: si tratta del signor Gaetano Mandarà, “u consaossa”. I tantissimi commenti e i like collezionati mi hanno spinto a scrivere di questo amatissimo personaggio nato nel 1890 e scomparso nel lontano aprile del 1971, all’età di 81 anni. Mi ritorna subito alla mente la venerazione di cui era fatto oggetto in quegli anni: l’ho conosciuto personalmente, io bambino, ma soprattutto nei racconti dei miei genitori. Don Gaetano, un uomo tutto di un pezzo, analfabeta, ma scarpe grosse e cervello fine, in un’epoca dove ortopedici e fisiatri nemmeno esistevano, e se c’erano, erano inarrivabili per la povera gente che, per qualsiasi problema articolare o muscolare, si rivolgeva a lui.
Slogature, contratture, spostamenti di fibre nervose, non avevano segreti per lui, che era sempre disponibile e, in men che non si dica, ti rimetteva a posto e te ne tornavi a casa nuovo come prima. Ne abbiamo parlato con il nipote che di lui, oltre al cognome porta pure il nome. Si tratta del figlio del secondogenito Giovanni (anche lui ha seguito le orme del papà ed anche lui è deceduto). Gaetano, onorato e felice di parlarci del nonno, ci racconta emozionatissimo chi era “U massaitanu”: “Fin da bambino, aveva avuto la curiosità di conoscere come era composto lo scheletro degli animali. In quei tempi, quando una mucca o una pecora moriva di qualche malattia, la carcassa veniva abbandonata in qualche pietraia. Il sole la asciugava e lo scheletro diventava ben visibile, lui passava delle ore ad osservarlo e studiarlo, ne ricavò una conoscenza incredibile che riversò nell’aggiustamento dei piccoli intoppi del corpo umano. Davanti casa del nonno, c’era sempre il via vai, anche in orari notturni. La gente arrivava anche da città limitrofe, i suoi interventi erano sempre gratuiti, non pretendeva compensi, anzi a volte ci rimetteva anche gli unguenti che servivano per lenire il dolore”.
“Un giorno – prosegue Gaetano nel racconto – arrivò un signore da Gela, non riusciva nemmeno a camminare, poverissimo. Arrivò persino a piedi con gran fatica e dolore, mio nonno gli sistemò lo strappo alla schiena rimettendolo subito in piedi e poi gli regalò pure i soldi per pagarsi il biglietto dell’autobus per ritornarsene a casa. In epoca più moderna, dovette subire pure le minacce di denunce da parte di qualcuno dei primi ortopedici, che lo accusavano di abuso della professione medica. Uno di questi, che più si accaniva contro di lui, un giorno, in forma anonima, gli fece giungere la moglie con un suo bambino, con una slogatura al braccio che lui non era riuscito a sistemare. Il tassista che accompagnava la donna e il bambino dopo l’intervento gli rivelò chi fosse: lui non fece una piega, ma il medico da allora non solo la smise con le minacce, addirittura iniziò a tesserne le lodi. Insomma, per raccontare tutto di mio nonno non basterebbero due giorni”.
Da questo racconto e da altre informazioni in nostro possesso, possiamo affermare che “U massaitanu” è stato un benefattore che, con grande abnegazione, ha dedicato parte della sua esistenza al prossimo, ma soprattutto ai “santacruciari”. Il nipote sarebbe grato agli amministratori locali se si facesse un pensierino a “intitolare qualche via o struttura pubblica a mio nonno, lui da lassù ne sarebbe felice”. Anche noi ci uniamo alla richiesta, appellandoci alla “santacruciarità” del sindaco Barone e di tutto il Consiglio comunale.