Chiudono le province siciliane. Ecco cosa prevede la riforma dell’Ars
Il governatore Crocetta e il parlamento regionale varano una riforma promessa a Giletti in un programma televisivo domenicale in antitesi al proprio programma di governo votato dai siciliani. Ci sono voluti quasi tre anni, 36 assessori regionali, nove mesi di commissioni parlamentari per attuare una spending review, sempre e comunque a discapito dei cittadini. Servizi ridotti e sospesi, assistenza ai disabili quasi cancellata, nessuna manutenzione delle strade con buche e muri a secco nei cigli delle strade sovrastate da erbacce, canneti e sterpaglie, per non parlare delle scuole dove oramai non esiste la manutenzione ordinaria e manca il gasolio per il riscaldamento. Però si continuano a pagare dirigenti e dipendenti senza poter dar loro gli strumenti per poter lavorare con l’impossibilità di trasferimenti in altri enti locali, per via di norme contraddittorie e inattuabili. In Sicilia dopo l’abolizione, con il voto favorevole di appena 36 deputati su 90, il mondo delle Province piomberà nel caos e nell’emergenza finanziaria a causa delle norme contraddittorie che tra legge di Stabilità e la riforma di Graziano Delrio che avrebbe dovuto regolare la riorganizzazione delle funzioni e il ricollocamento del personale. Mentre il ministro della pubblica amministrazione Marianna Madia cinguetta messaggi rassicuranti, sulla rete impazza l’hashtag disperato “a chi compete la cultura”, lanciato dai dipendenti senza più un ruolo dopo che le competenze su turismo, agricoltura, commercio, artigianato, ambiente, servizi sociali, pubblica istruzione e tante di quelle attività che erano di sostegno ai cittadini e diventavano il motore economico e produttivo di un sistema che funzionava. Bene queste competenze tolte da tempo alle province, non ancora riassegnante. Pensate che ci siano comuni, distretti o città metropolitane che possano sopperire a queste competenze? Nessuna sorpresa se continueremo a vedere strade dissestate o scuole con i soffitti cadenti, da una classe politica che avrebbe dovuto tagliare prima i propri costi per una democrazia sempre meno partecipata.
Ma cosa prevede la riforma approvata all’Ars?
Nove enti di area vasta
I nuovi enti intermedi corrisponderanno territorialmente con le ex Province. Sei i Liberi consorzi (Agrigento, Caltanissetta, Enna, Ragusa, Siracusa, Trapani) e tre le Città metropolitane (Palermo, Catania e Messina). Si tratta di enti di area vasta dotati di autonomia statutaria, regolamentare, amministrativa, impositiva e finanziaria. E su quest’ultimo punto non sono mancate le perplessità da parte dell’opposizione. “Tra personale, funzionamento e costi indiretti, gli istituti scolastici in provincia di Palermo gravano per circa 18 milioni di euro – ha spiegato Vincenzo Figuccia di Forza Italia -. Siamo curiosi di sapere dove i nuovi enti di area vasta troveranno queste risorse”.
Gli organi di governo
Quattro gli organi che andranno a comporre i nuovi enti territoriali. Si tratta del Presidente (Sindaco per le Città metropolitane), dell’Assemblea (Conferenza per le Città metropolitane), della Giunta e dell’Adunanza elettorale. Organo, questo, che sarà formato da tutti i sindaci e consiglieri comunali in carica nei comuni appartenenti all’ente e avrà come compito quello di eleggere il presidente del Libero consorzio e il sindaco della Città metropolitana, oltre che i membri della Giunta. Proprio sulla previsione della elezione di secondo livello si è creata la frattura tra maggioranza e parte dell’opposizione. Lista Musumeci, Forza Italia e Pid non hanno preso parte all’esame e al voto della riforma per protestare contro la presidenza dell’Ars che ha dichiarato inammissibili tutti gli emendamenti volti a introdurre l’elezione diretta. Possibilità che la riforma lascia, invece, alla potestà statutaria di ciascun ente.
Chi può presiedere gli enti
Possono occupare la poltrona di presidente e sindaco metropolitano solo i primi cittadini dei comuni appartenenti all’ente territoriale, a condizione che il loro mandato scada non prima dei 18 mesi dalla data di svolgimento delle elezioni. “Una misura – ha spiegato il presidente della prima commissione Antonello Cracolici – per evitare incarichi troppo brevi”, dal momento che la cessazione dalla carica di sindaco di un comune o di consigliere comunale comporta la decadenza immediata di qualsiasi carica ricoperta negli organi dei Liberi consorzi e Città metropolitane. Non c’è l’automatismo previsto altrove in Italia per cui nelle Città metropolitane il sindaco del comune capoluogo è anche sindaco metropolitano.
Elezioni e fine dei commissariamenti
Assemblea e Conferenza sono gli organi di indirizzo politico degli enti di area vasta e sono composte dai sindaci dei comuni. La Giunta è, invece, l’organo esecutivo e i componenti variano da quattro a otto in base al numero di abitanti dell’ente. Per la prima elezione bisognerà attendere il prossimo autunno. “Tra ottobre e novembre si riuniranno nelle ex province circa 10mila tra sindaci e consiglieri comunali – spiega Cracolici -. Numeri che segnano una grande novità, oltre la fine dei commissariamenti”.
Il costo degli organismi
Per quanto riguarda il costo degli organismi, al presidente e al sindaco metropolitano è attribuita un’indennità pari alla differenza tra quanto percepito per la carica di sindaco e quella spettante al primo cittadino del comune con il maggior numero di abitanti. Nel caso questa indennità dovesse corrispondere a quella già percepita, sarà aumentata del 20%. Per ciò che riguarda i componenti delle Giunte, invece, la somma sarà pari alla differenza tra l’indennità percepita per la carica ricoperta nel proprio comune e il 50% di quella spettante al presidente del consorzio o sindaco metropolitano.
Le competenze
Ma più che sulla governance, è sulle funzioni dei nuovi enti che governo e maggioranza hanno voluto sottolineare le innovazioni rispetto al recente passato. “Con questa riforma abbiamo messo fine agli sprechi per ripetizione della spesa – afferma Cracolici -. Non esisteranno più nove ‘supercomuni’, come erano nei fatti le ex Province, perché Liberi consorzi e Città metropolitane avranno competenze esclusive”.
“In capo ai nuovi enti restano molte competenze delle ex Province – ha spiegato l’assessore alla Funzione pubblica Giovanni Pistorio –, ma con alcune modifiche di rilievo. In particolare, vengono trasferite ai comuni le competenze su manifestazioni artistiche e ricreative, mentre alla Regione passano le competenze su formazione professionale e tutela ambientale. I Liberi consorzi – ha aggiunto – avranno, invece, competenza sull’approvazione degli strumenti urbanistici ed entro il prossimo anno anche sull’edilizia popolare abitativa, sulla vigilanza dei consorzi di bonifica e sulla motorizzazione civile”.
Il personale
Ma è il capitolo più scottante era sicuramente quello relativo al personale delle ex Province che attendeva con il fiato sospeso l’approvazione della riforma. “In un momento in cui le province del resto d’Italia hanno messo in mobilità il 50% dei dipendenti, noi pensiamo di aver messo in sicurezza il personale”, ha affermato l’assessore Pistorio. “Il risultato più importante è aver dato continuità ai posti di lavoro dei dipendenti delle ex Province”, ha detto il deputato Giovanni Di Mauro (Mpa).
Di tutt’altro avviso il forzista Vincenzo Figuccia. “Non è affatto vero che il personale verrà garantito. Anzi. Visto che a questi enti sono state attribuite nuovi funzioni senza il giusto corrispettivo in termini di dotazione finanziaria, c’è il rischio concreto di messa in mobilità di centinaia dipendenti”.
Nel dettaglio, la riforma dispone che gli enti di area vasta stabiliscano entro tre mesi la propria dotazione organica. Il personale che resterà assegnato ai nuovi enti o che andrà in mobilità sarà individuato con decreto del presidente della Regione, previa delibera di giunta su proposta dell’assessore regionale alle Autonomie locali, sentite le principali organizzazioni sindacali.
“Gli elementi che mi convincono di più della riforma sono tre – ha spiegato il governatore Crocetta – . Innanzitutto offre sin da subito una impostazione ben definita dei nuovi enti; rispetta i referendum già fatti, consentendo ai comuni che avevano già scelto di passare ad un altro libero consorzio di confermare il la loro decisione; consente, infine, la possibilità di formare nuovi Liberi consorzi di comuni che abbiano i requisiti di continuità territoriale e una popolazione non inferiore a 180 mila abitanti, requisiti che ne eviteranno la inutile proliferazione”.