Davide Stival in carcere dalla moglie Veronica: “Scosso dall’incontro”
Alla fine ha ceduto: così Davide Stival si è recato in carcere, ad Agrigento, per far visita alla moglie Veronica Panarello, accusata di aver ucciso il figlio di 8 anni. Il papà di Loris martedì mattina ha deciso di riprendere i contatti con la coniuge, ormai reclusa dallo scorso 9 dicembre. Dopo quasi un mese e qualche perplessità sul conto della donna (“Dai video sembra sia stata lei a uccidere” ha rivelato più volte Stival), ecco il timido riavvicinamento. Ma non tutto è andato secondo i piani. Durante la visita nella sala colloqui del penitenziario di c.da Petraro, infatti, Davide si sarebbe scagliato contro la moglie per ribadire il concetto: “Veronica dice di essere innocente, ma le immagini delle telecamere dicono un’altra cosa…”. Allo stato degli atti, per Davide Stival “le immagini parlano chiaro e quindi credo di più alla Procura che a lei”. L’incontro era stato organizzato da tempo in un giorno festivo per rimanere riservato. L’uomo si è detto “scosso dal colloquio”. Al momento “non è previsto un seguito”.
Il carcere di Agrigento fin qui aveva ospitato solamente il padre della donna, Francesco Panarello, l’unico della famiglia, assieme alla prozia Antonella, a credere ancora alla sua versione. Nelle scorse settimane Veronica aveva scritto un paio di lettere al marito Davide implorandolo: “Come puoi pensare, tu che mi conosci, che sia stata io a uccidere nostro figlio?”.
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Se gli indizi a carico di Veronica Panarello sono davvero solo quelli riportati dai media si può affermare con un sufficiente margine di certezza che è innocente. Ma come farà a dimostrarlo? Sembra un paradosso ma, purtroppo, non lo è. L’onere della prova spetterebbe all’accusa ma da tempo ormai si va sempre più consolidando una prassi processuale in cui è l’imputato a dover smontare impianti accusatori traballanti e incoerenti per dimostrare la propria innocenza. Non fa eccezione il caso della morte del piccolo Loris Stival. La ricostruzione del delitto elaborata dagli inquirenti appare inverosimile: una madre sana di mente, che si è sempre dimostrata amorevole e premurosa nei confronti dei figli, un bel giorno si alza e, di punto in bianco, decide di ucciderne uno, non si sa bene perché. Nell’ordinanza è scritto che la donna sarebbe “incapace di controllare gli impulsi omicidi», quindi avrebbe agito in base ad un raptus improvviso e incontrollabile, ma questa affermazione mal si concilia con la tesi secondo la quale lei avrebbe premeditato e organizzato l’omicidio del figlio con lucida determinazione, dimostrando un sangue freddo che farebbe invidia anche al più esperto e spietato sicario! Le donne che uccidono i propri figli appartengono a tipologie ben precise ed evidenziano chiari segni di disturbi psichici o della personalità. Spesso avevano pianificato di suicidarsi dopo la morte del figlio. Se c’è una malattia mentale si devono vedere dei segni importanti, non ci si ammala da un giorno all’altro. La metodica omicidiaria dello strangolamento volontario tramite fascetta, inoltre, implica una serie di atti logici, mirati, organizzati e consequenziali, che male si adattano ai tempi ristretti di Veronica o allo stato compulsivo di una madre assassina.
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