CATONE IL CENSORE E’ ANCORA DI MODA?
Dopo una breve pausa, dovuta a motivi personali, Cassandra aveva confezionato un editoriale dal titolo “Le fate ignoranti”, preso in prestito dal capolavoro di Ferzan Ozpetek, con il quale intendeva dimostrare che l’attuale classe politica, nazionale, regionale e locale, si propone giornalmente all’opinione pubblica come una fata che con la sua bacchetta magica può risolvere i problemi della collettività di riferimento, ma poi, nella pratica, non lo fa, o lo fa con troppa lentezza o in maniera discontinua, perché “ignora” (nel senso di “non conoscere”) le reali esigenze, drammatiche e vitali, della medesima. Dopo aver letto che il sindaco Iurato intende querelare per diffamazione anche questa testata, rea di aver riportato un’intervista dell’ex assessore Pluchino (attualmente consigliere… non di maggioranza), Cassandra ha deciso di cambiare completamente il tema del suo editoriale, non certo per il timore di una querela, ma per la necessità di difendere la libertà di stampa e di informazione, diritto costituzionalmente garantito e baluardo della democrazia. Ebbene, quando un politico giunge a tali dichiarazioni (cioè paventare una querela) per reazione ad affermazioni che non lo riguardano come persona, ma per la carica istituzionale che sta temporaneamente ricoprendo, altro non fa che usare l’arma della censura, camuffata con la veste della legalità. Ma si tratta di un’arma, di fatto, non letale, anzi, per certi versi innocua. Si può precisare che ogni giornalista considera la minaccia in questione come una “nomination” all’Oscar, o come una medaglia al valore, che, in caso di condanna (poco frequente, peraltro), si concretizza in una mera sanzione pecuniaria! Credete che Indro Montanelli o Enzo Biagi o Giorgio Bocca ed i giornali su cui scrivevano non abbiano mai ricevuto querele? Credete che le querele abbiano scalfito la loro onestà intellettuale, la loro coscenza critica? Anche Giuseppe Fava, padre di Claudio (già euro-deputato Pd), con il suo giornale “I siciliani” si beccava querele illustri (quelle di Andreotti, per esempio) e, addirittura, fu assassinato per la sua “manìa” di smascherare la corruzione politica o, più semplicemente, di denunciare l’ indifferenza della c.d. “società civile”. E che dire di Peppino Impastato, ucciso solo perché “scherzava” alla radio sui boss mafiosi? Oggi che la corruzione, il malaffare non hanno più un colore politico definito, oggi che anche i neonati hanno una pagina facebook e viviamo in una mega-discarica di informazioni, prendersela con un giornale che si sforza di far conoscere alla propria collettività ciò che accade ogni giorno anche e non solo nel Palazzo del potere appare demodé ed è, comunque, l’ennesima prova della discrasia, del divario che esiste tra coloro che si propongono per amministrare la cosa pubblica e i bisogni reali degli (ahinoi!) amministrati, di cui la variegata categoria dei giornalisti è parte integrante e sostanziale!
Cassandra