Dettagli su minore finiscono su gruppo Facebook: la discussione degenera
Un post di Facebook di qualche giorno fa in un noto gruppo locale, due amministratori della pagina disattenti che forse non conoscono le regole del gioco. E’ di pochi mesi fa, infatti, la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (caso C-210-16) che si occupa della responsabilità degli amministratori di fanpage su Facebook. Nel post in questione le lamentele di una turista, che mentre loda la frazione del borgo marinaro di Punta Secca scegliendo come mezzo di comunicazione la pagina “I love you Punta Secca”, contemporaneamente denuncia schiamazzi fino all’alba da parte di un gruppo di minori, età media dieci anni, segnalandone uno nei particolari che purtroppo non lasciano dubbi all’identificazione.
Un consigliere comunale di maggioranza prova con garbo a limitare i danni a carico del ragazzino e un altro di opposizione si inserisce nella polemica. Un’escalation di attacchi diffamatori a scapito del minore – si ricorda che in Italia il minore per poter esprimere autonomamente il consenso alla pubblicazione dei propri dati deve aver compiuto sedici anni, in caso contrario la responsabilità è dei genitori, ma i propri non quelli degli altri – e di chi ne è responsabile in primis, e della consigliera Giusy Zisa, intervenuta per tutelarlo. Ricordando agli utenti che eventuali richieste per il ripristino della quiete pubblica, vanno fatte agli organi di competenza nei luoghi preposti.
Il primo post di cui si conserva copia, viene dall’utente modificato omettendo così i particolari del ragazzino che avevano costretto l’amministratrice ad intervenire per tutelarlo. Dell’intera vicenda abbiamo chiesto un commento a Giusy Zisa, scesa in campo per difendere la privacy del bambino: “I metodi di comunicazione si sono evoluti e sono stati resi disponibili a tutti (internet in testa). Si è ottenuto un inevitabile fluire di conoscenza e qualcosa poteva far ben sperare in un processo evolutivo della specie umana. Ma c’è una sempre maggiore quantità di falsi channelling, ovvero di lupi travestiti da agnelli, utili quasi sempre solo a depistare e nuocere a sé stessi e agli altri. Non esiste nessun divieto a esprimere le proprie idee sui social, ma conviene riflettere un po’ prima di utilizzare Facebook come pubblica piazza attraverso cui esprimere le nostre opinioni, tanto più perché influenzano ben poco gli altri. Ma resta il fatto che insultare una persona in pubblico sui social, come è avvenuto nei miei confronti a mezzo network, è reato”.
ECCO IL POST DELLA DISCORDIA