La Pasqua fa miracoli: Ania e Sofia, da Kiev a Vittoria per rinascere
Irene (Marina di Ragusa), Loredana (Vallelunga – CL), Olga (Spagna), Antonella (Santa Croce Camerina), Maria Teresa (Comiso), Lucia (Vittoria), Ania e Sofia (Kiev).
La storia che voglio raccontarvi parla di donne attive e di donne coraggiose. Parla di cooperazione e di cuore. Parla di come una piccola rete di rapporti improvvisata possa trasformarsi in salvezza.
Tutto inizia da Irene, docente di religione, che a metà marzo telefona alla sua ex collega, Antonella, informandola che la sua attuale collega, Loredana, è in contatto con Olga, residente in Spagna, che vorrebbe portare in salvo la sorella Ania e la nipote Sofia che stanno fuggendo da Kiev ed hanno bisogno di uno stallo sicuro. Antonella si mette in contatto con Loredana e riceve le informazioni utili su Ania e Sofia e, attraverso l’amica Maria Teresa, iniziano a cercare qualcuno che possa ospitare le giovani profughe. Nel giro di pochi giorni, Maria Teresa scopre che c’è una famiglia disposta ad accoglierle: la famiglia di Lucia.
Il 29 marzo Ania e sua figlia Sofia, di 14 anni, arrivano a Vittoria dove Lucia e la sua famiglia l’attendono a braccia aperte. Entrambe parlano in ucraino e inglese, però oltre a Maria Cristina, figlia di Lucia che funge da interprete, Lucia, Ania e Sofia riescono a comunicare benissimo attraverso i loro sguardi, i loro gesti. Per Lucia, suo marito Luigi ed i loro quattro figli adulti sarà una Pasqua “diversa” e bellissima, un dono del Signore. “Quando è scoppiata la guerra in Ucraina ed ho saputo che molte donne stavano scappando con i loro figli in cerca di un posto dove rifugiarsi, io non ho avuto dubbi – ha detto Lucia -. Insieme a mio marito abbiamo subito aderito alle richieste di alcune associazioni umanitarie per poter ospitare in casa nostra una famiglia in difficoltà. Però, dopo quindici giorni, non ci aveva contattato, ancora, nessuno finché non abbiamo avuto notizia, attraverso degli amici, che c’era una madre, con la figlia quattordicenne, che avevano bisogno d’aiuto”.
Maria Teresa ha telefonato alla signora Lucia per accertarsi dell’effettiva disponibilità all’accoglienza ed altrettanto ha fatto Antonella che poi ha passato il contatto a Loredana permettendo, così, la chiusura del cerchio. Lucia, Ania e Sofia, dopo una video chiamata, durante la quale si sono potute vedere per la prima volta, hanno deciso di fidarsi le une delle altre e tutto si è trasformato in una splendida favola a lieto fine.
Ania e Sofia vivono nella casa di Lucia, dove hanno le loro camere e la giusta privacy e godono di tutto l’amore di cui hanno bisogno. Però, i loro affetti più cari sono rimasti in Ucraina, dove la guerra incalza ancora. I genitori di Ania non hanno voluto lasciare la loro casa, che ancora è miracolosamente in piedi nonostante i bombardamenti a pochissimi chilometri. Anche il marito di Ania è rimasto a Kiev. Purtroppo, agli uomini non è consentito uscire dallo Stato per rimanere a difendere la Patria. Quotidianamente Ania e Sofia mantengono contatti telefonici con i propri cari, ma non è facile, anzi, per chi è rimasto, è particolarmente rischioso. Spesso tutto si riduce ad una chat con su scritto: “ok”. Questo è già il segno per cui tutto va bene, il massimo a cui, a volte, possono aspirare.
“La nostra vita è cambiata all’improvviso – ha spiegato Ania, che per molti anni ha lavorato come manager responsabile in una grande azienda e poi, negli ultimi cinque anni, era diventata direttrice di un asilo dove insegnava inglese -. Abbiamo dovuto lasciare la nostra casa all’improvviso e percorrere chilometri a piedi, raramente con qualche autobus, per poter uscire dall’Ucraina e raggiungere il confine con la Polonia. All’inizio siamo andati in un villaggio vicino Kiev, ospitati da nostri parenti ed abbiamo dormito sotto le case, dove vengono conservati i prodotti agricoli, praticamente dei magazzini. Siamo passati anche da Bucha, prima ancora che arrivassero i russi, ma ci siamo fermati solo un giorno”. La sua voce si spezza per l’emozione. Non è facile ricordare il recente inferno che hanno vissuto, vivissimo nel cuore.
A continuare, con grande dovizia di particolari, la quattordicenne figlia Sofia, che è stata accolta con grande gioia da un istituto di Vittoria dove frequenta la terza media. “Quando siamo scappati da Kiev, siamo stati ospiti di una famiglia che viveva vicino Bucha. Siamo rimasti solo una notte perché i russi stavano arrivando e non saremmo più potuti andare via. Dopo essere andati via, abbiamo saputo che il villaggio era stato distrutto. Siamo partiti alle 5 del mattino attraverso delle strade di campagna. Sembrava assurdo sentire le bombe che scoppiavano sopra di noi, le finestre che tremavano: come se tutto dovesse esplodere da un momento all’altro. A mano a mano, ci arrivavano le notizie di quello che succedeva negli altri posti dove eravamo stati. Riuscivamo a sentire le bombe a 90 chilometri di distanza. Per due/tre giorni non siamo riusciti a sentire i nostri familiari. Chiunque usciva, anche per cercare cibo, rischiava di essere ucciso, per questo ci nascondevamo nei sotterranei”. Per mantenere i contatti tra coloro che si sono spostati e chi è rimasto, si sono creati dei gruppi tra familiari e vicini di casa. Si comunica via chat utilizzando parole convenzionali: “giorni di silenzio” (quando non bombardano), “giorni di rumore” (quando sono in corso i bombardamenti), “ok” (va tutto bene).
Ania, però, era già stata in Sicilia altre volte. In occasione del disastro nucleare di Chernobyl avvenuto nel 1986, quando aveva 14 anni, la stessa età di sua figlia oggi, lei ed altri ragazzi erano stati ospitati a Vallelunga, in provincia di Caltanissetta, da alcune famiglie per trascorrere un periodo di disintossicazione dall’aria irrespirabile. Proprio lì aveva conosciuto Loredana. Negli anni successivi avevano perso i contatti, per ritrovarsi qualche anno fa su Facebook, quando ancora l’idea della guerra non era lontanamente pensabile. Riabbracciarsi è stato un dono inaspettato: una Pasqua a lieto fine per tutte.