La lenta ripresa dalla pandemia: i ragusani non vanno più al bar
Sono ancora troppo pochi i ragusani tornati al bar per fare colazione, o al ristorante per un pranzo o una cena. E’ quanto emerge dall’indagine condotta dal Centro Studi di Fipe-Confcommercio per analizzare le cause del drastico calo di consumi che ha colpito in maniera drammatica il comparto dei pubblici esercizi anche nell’area iblea. “I numeri, purtroppo – sottolinea il presidente provinciale Confcommercio Ragusa, Gianluca Manenti – sono molto chiari: il 72% non ha ancora mai fatto colazione al bar, il 67,9% un pranzo fuori casa e il 69,4% una cena. Peggio va solo per il dopocena, ma è noto che questa sia un’occasione di consumo che riguarda principalmente la fascia giovanile della popolazione”.
Per quanto riguarda le ragioni che inducono a non andare al bar o al ristorante la fa da padrone, nell’immaginario dei consumatori, il timore del contagio: il Covid-19 fa ancora paura per ben il 66,5% degli intervistati. Tra le altre motivazioni che fanno da deterrente ai consumi fuori casa troviamo le diverse disposizioni di sicurezza che rendono meno godibile l’esperienza al ristorante (41,5%), mentre per chi lavora, l’adozione dello smart working ha di fatto quasi azzerato le occasioni di consumo della colazione, della pausa caffè e del pranzo.
“I dati – aggiunge ancora Manenti – ci restituiscono la fotografia di un settore in grande sofferenza. E’ indispensabile mettere in campo strumenti che stimolino la domanda con l’obiettivo di compensare le pesanti perdite determinate dalla mancanza di turismo internazionale e dal perdurare dello smart working. Al riguardo guardiamo con grande attenzione a quello che il Governo intende mettere a punto nel decreto di agosto. Lo stanziamento di un fondo finalizzato a rimborsare una quota parte della spesa al ristorante sarebbe certamente un provvedimento che va nella giusta direzione, ma sono altrettanto urgenti ulteriori misure per il contenimento dei costi a cominciare da quelli del lavoro e dei canoni di locazione, magari attraverso l’introduzione della cedolare secca sugli affitti”.