Tamponi sì, ma come? Bisogna potenziare la medicina territoriale
In questi giorni è in corso una forte diatriba sull’uso dei tamponi, su quando e a chi farli. Da una parte c’è chi sostiene che questi debbano essere offerti alla maggior parte di popolazione possibile, dall’altra c’è chi guarda a questa possibilità con più prudenza. Crediamo che un’attenta riflessione in tal senso non possa prescindere da alcune considerazioni sull’attuale contesto che determina il modo in cui si sceglie come eseguire i tamponi. In linea teorica non possiamo che essere d’accordo con l’estensione dei tamponi a quanti più soggetti possibili.
Ma come spesso accade, dalla teoria alla pratica, soprattutto in un’emergenza di queste dimensioni, c’è un abisso. E’ stato spesso sollevato il problema della carenza dei tamponi, della carenza dei reagenti con cui questi devono essere analizzati e delle difficoltà che i laboratori ed il personale sanitario hanno nel rispondere ad un numero di richieste sempre crescenti. L’articolo “Allarme tamponi” su “La Repubblica” del 26 marzo di Michele Bocci descrive adeguatamente il rapporto fra il bisogno di eseguire più tamponi (sostenuto da diversi esponenti del campo della medicina e della politica) e la realtà, in cui allo stato attuale è già difficile riuscire ad effettuarli su tutti i soggetti sintomatici e su coloro ai quali deve essere certificata la guarigione al termine della malattia. A queste problematiche si aggiungono quelle inerenti la sorveglianza sanitaria dei soggetti Sars-CoV-2 positivi.
Ormai tante sono le voci che sostengono l’esigenza di un’attività della medicina del territorio al fine di fornire gli adeguati supporti e di svolgere delle capillari e soddisfacenti azioni di sorveglianza sanitaria. Queste azioni sono in capo ai Dipartimenti di Prevenzione delle Asl ed ai servizi di Igiene e sanità pubblica ad essi afferenti. Tante e notevoli sono le difficoltà che questi stanno riscontrando non solo nelle cosiddette ex “zone rosse”, dove gli altissimi numeri hanno messo in ginocchio tutti i settori della sanità pubblica, da quella ospedaliera a quella territoriale, ma anche e soprattutto in quelle zone in cui i contagi sono relativamente più contenuti. Su questo, purtroppo, bisogna fare delle analisi critiche riguardo alle politiche che negli ultimi anni sono state messe in atto in tutta la nazione, da nord a sud. Il depotenziamento graduale, e spesso inconsapevole, della medicina territoriale, ed in questo caso soprattutto delle strutture di prevenzione e sanità pubblica, è stato messo più volte in risalto da numerosi esponenti della medicina e della politica. In effetti, nulla o poco è stato fatto in seguito a questi numerosi avvertimenti lanciati in tempi non sospetti; oggi purtroppo ne paghiamo le conseguenze. La situazione rimarrebbe comunque grave, ma forse una medicina territoriale più forte ci avrebbe permesso di affrontare meglio l’emergenza. Su questo dovremo riflettere quando questo coronavirus ci darà un po’ di respiro.
Nel frattempo dobbiamo intervenire potenziando oltre alle terapie intensive, alle medicine interne e agli ospedali in generale, anche i servizi territoriali. Ecco il terreno in cui bisogna investire tempo, energie e risorse umane ed economiche. Pertanto, ritornando alla premessa iniziale, si comprende come oggi la scelta di estendere i tamponi a tutta la popolazione senza un criterio clinico esaustivo (come invece potrebbe essere anche solo la paucisintomaticità), appaia non sostenibile e dispendiosa di energie preziose per altri interventi (come appunto il potenziamento della medicina territoriale), seppur teoricamente fortemente valida. In tal senso una strategia interessante per il contenimento dei focolai nosocomiali e, in contemporanea, la tutela del personale sanitario può essere quella messa in atto dalla Regione Puglia, il cui coordinatore delle emergenze epidemiologiche è il prof Pier Luigi Lopalco (a tal proposito risulta estremamente interessante l’articolo “Un tampone salverà il Mondo…o no?” che egli ha scritto su “adultievaccinati.it” il 23 marzo). Questa strategia prevede quattro approcci integrati tra loro:
– misurazione della temperatura all’ingresso in ospedale per tutti gli operatori sanitari;
– identificazione immediata degli operatori che abbiano avuto contatti con soggetti positivi in assenza di DPI;
– i contatti occasionali sono seguiti con sorveglianza sanitaria e isolamento e testati in caso di sintomi;
– i contatti più stretti sono messi in isolamento domiciliare immediatamente e sottoposti a sorveglianza sanitaria. Se dovessero presentare dei sintomi vengono immediatamente testati. Se dovessero rimanere asintomatici, al settimo giorno verrebbero comunque testati e se dovessero risultare negativi vengono rimessi in servizio.
Prof. Guglielmo Bonaccorsi
(Direttore della Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina preventiva dell’Università degli Studi di Firenze)
Dr. Giuseppe Albora
(Medico in form. specialistica in Igiene e Medicina preventiva dell’Università degli Studi di Firenze)
Dr. Andrea Moscadelli
(Medico in form. specialistica in Igiene e Medicina preventiva dell’Università degli Studi di Firenze)