Ragusa – La sanità come paradigma dell’accoglienza
Il sovranismo è ormai una consolidata “posizione politica che propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovranazionali di concertazione” (Treccani). Dalla politica sovranista discendono una serie di deduzioni che privilegiano lo Stato nazionale e i suoi cittadini. La cittadinanza posta alla base, tra l’altro, del godimento dei diritti sociali. La cultura del sovranismo è nata gradualmente nel tempo con una evoluzione che ha una certa coerenza: “prima i lombardi”, “prima il nord”, “prima i padani”, fino ad oggi con “prima gli italiani” Il diritto alla salute è per tutti? Vi è da chiedersi se, nella concezione sovranista il diritto alla salute che è tra i più classici diritti sociali è legato espressamente alla cittadinanza e al permesso di soggiorno, o alle reali condizioni di bisogno di assistenza sanitaria… Anche in questo caso le questioni partono da lontano. Il vigente testo unico per le leggi sull’immigrazione (legge 40/1998 poi D. Lgs 288/98), risale alla legge “Turco-Napolitano” che prese il posto della legge Martelli del 1989. I nomi dei ministri dell’epoca servono a capire in quale contesto politico sono nati i primi atti di distinzione tra diritti dei cittadini e diritti posti in capo a ogni essere umano in quanto tale.
Si distingue tra “stranieri iscritti al SSN Servizio Sanitario Nazionale” e “stranieri non iscritti al SSN”. Per questi ultimi “non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno” quindi clandestini, erano e sono assicurate “le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva”. Vi è poi la declinazione non esaustiva – ma spesso interpretata come tale – delle prestazioni erogate per la tutela della gravidanza e della maternità, della salute del minore, le vaccinazioni, la profilassi internazionale e più in generale le malattie infettive. Agli stranieri non in regola con l’ingresso e con il permesso di soggiorno spetta “un nucleo irriducibile di diritto alla salute protetto dalla Costituzione” tale diritto viene posto loro dalla Corte Costituzionale con sentenza 269/2010 “qualunque sia la loro posizione rispetto alle norme che regolano l’ingresso”. La discriminazione passa proprio nell’interpretazione del “nucleo irriducibile” che spesso è soggetto a interpretazioni che nella prassi rischiano di essere restrittive. Tutte le prestazioni del SSN, riassumibili nei Livelli Essenziali di Assistenza sono erogabili agli “iscritti” al servizio sanitario, e solo una parte ai “clandestini” con un occhio particolare alle malattie infettive e quindi alla tutela della salute della “collettività” più che a quella individuale. Nella prassi quotidiana vengono inoltre denunciate altre forme di ostacoli all’accesso delle cure con interpretazioni restrittive delle cure “essenziali” e della perdita del diritto di essere esentati dai ticket e quindi, spesso, dalle cure stesse.
L’accesso dei “clandestini” alle strutture non comporta però obbligo di denuncia (referto) “salvo i casi in cui il referto è obbligatorio anche per i cittadini italian”. Denuncia che resta obbligatoria, quindi, solo in casi in cui si commettano reati perseguibili d’ufficio, questo come anche per gli italiani, ma non quindi per la clandestinità. Quest’ultimo principio nel 2009 fu messo in discussione dal “pacchetto sicurezza” Legge 94/2009 decreto Maroni che introdusse, il reato di clandestinità. Con il reato di clandestinità si è trasformato lo status in reato, la propria condizione personale in illegalità. Si pose all’epoca il problema se diventasse obbligatorio il referto – e quindi la denuncia all’autorità giudiziaria – per tutti coloro che non erano in regola con il permesso di soggiorno una volta che accedevano alle strutture sanitarie. Vi furono numerose prese di posizione contrarie che costrinsero il ministro Maroni ai tempi Ministro dell’Interno a intervenire con una circolare, la n. 12/2009 con la quale si escluse il reato di clandestinità dall’obbligo di segnalazione all’autorità giudiziaria in caso di accesso alle strutture sanitarie. Problema legislativo risolto con una circolare, quindi risolto impropriamente, ma comunque risolto.
Con il decreto Salvini (DL 113/2018) si abolisce il permesso di soggiorno per motivi umanitari spesso usato per motivi sanitari di durata biennale. Oggi l’unico permesso speciale per motivi medici ha la durata massima di un anno, questo permesso per motivi medici viene concesso per condizioni di salute di “particolare gravità” e deve essere accertato da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il SSN mediante “idonea documentazione”. Il riferimento alla documentazione e non alla certificazione è eloquente: non basta la classica certificazione – atto di scienza che determina le condizioni di salute/malattia – ma una documentazione più ampia ma che comunque non è specificata. Per il diritto alla salute esiste quindi un doppio binario, il primo riguarda gli stranieri in regola che sono iscritti al SSN e beneficiano di tutte le prestazioni come gli italiani”, il secondo, riguarda invece, gli stranieri che non sono in regola con il permesso di soggiorno e che prevede per loro un riconoscimento solo parziale del diritto alla salute. Le annose discussioni sullo ius soli o sullo ius culturae non hanno portato a niente. Sono nel limbo centinaia di migliaia di ragazzi che nascono in Italia, frequentano scuole italiane, amici italiani, si sentono italiani ma sono confinati in una zona grigia. Questa non comporta però una discriminazione sul diritto alla salute in quanto comunque risultano iscritti al servizio sanitario nazionale, ma in altri ambiti. Concludendo, è attraverso il permesso di soggiorno – un atto amministrativo – che si gioca la disuguaglianza del diritto costituzionale di salute. Lo slogan sovranista che indica una priorità sulla base della cittadinanza, quindi anche sul tema del diritto alla salute appare sostanzialmente privo di effetti, ma “venduto” come se ne fosse pieno. Gioca a favore del diritto alla salute, il fatto di essere non soltanto diritto dell’individuo, ma anche “interesse della collettività”. La mancata presa in carico dei problemi di salute della popolazione migrante rischia di avere ripercussioni gravi su tutta la popolazione. Evidentemente gli atti discriminatori devono passare per altre strade.
Giuseppe Occhipinti Segretario della Pastorale della Salute della Diocesi di Ragusa