Di Quattro ci racconta il mito della casa di Montalbano: “Da Sciascia alla Sellerio, e infine Camilleri”
Punta Secca, piccolo borgo marinaro di Santa Croce Camerina, negli ultimi anni è balzata ai clamori della ribalta per il semplice fatto di ospitare la casa del famoso “Commissario Montalbano”, protagonista dei numerosi romanzi di Andrea Camilleri. Ma, prima ancora di raggiungere fama nazionale ed internazionale, Punta Secca è sempre stata uno dei “luoghi del cuore” dei santacrocesi, dove, in passato, le famiglie più abbienti avevano l’abitazione estiva, puntualmente tramandata di generazione in generazione. Questo amore viscerale prescinde da qualsiasi successo televisivo e nasce da un percorso fatto di uomini e storie che si sono susseguiti nel tempo ed hanno impreziosito d’esperienza le sue coste. Per non dimenticare il patrimonio storico-culturale di Punta Secca, Gianni Giacchi, appassionato d’arte pittorica e fotografia, ha voluto raccogliere le testimonianze di chi ha contribuito a rendere questo borgo quello che è oggi, conosciuto in tutto il mondo. La prima di queste interessanti testimonianze giunge proprio dall’attuale proprietario della “Casa di Montalbano”, l’avvocato Giovanni Di Quattro. Questa splendida dimora signorile col suo terrazzo che guarda verso il Mediterraneo, meta ogni anno di innumerevoli pellegrinaggi di turisti ansiosi di visitarla e fotografarla, ha una storia ricca di fascino che lo stesso Gianni Giacchi ha voluto raccogliere lasciando la parola e l’emozione dei ricordi all’avvocato Di Quattro. Non ci resta che leggerla…
Durante la chiacchierata si fa riferimento ai trascorsi di questa casa, ad un passato che bisogna custodire gelosamente perchè si fonde e confonde con la storia di Punta Secca. “Qui in questa stanza di fronte alla veranda – racconta Diquattro – c’era un magazzino di salato, perché Punta Secca aveva una barca addetta a pescare le acciughe e le sarde, che poi venivano portate in questo locale, e dopo essere trattati venivano conservati in barattoli di latta da 5, 10, 25 kg e vendute al costo di 2, 3, 5 lire. All’inizio l’antico magazzino era di proprietà dei fratelli Allù. Mio nonno amante del mare, arrivato sul posto nel 1904, lesse un “si vende” affisso in una porta di quel magazzino e dopo breve una trattativa lo acquistò per 4.000 lire. L’antico edificio non era altro che una struttura alta quasi quattro metri, costruzione precaria edificata con blocchi di scogli marini. Mio nonno quindi ne fu proprietario e dopo alcuni anni, acquistò, tramite il Regio Ufficio del Registro di Comiso, da qui dipendeva anche Punta Secca, 36 mq di demanio, che sarebbe questo terrazzo, di 6 x 7 x 4 x 5,50 m”.
“Mio nonno, avv. Giovanni Di Quattro, dopo un primo intervento, lascia all’unico figlio erede, mio padre avv. Pietro Di Quattro, la successione della casa e che poi a sua volta con tutte le sue pertinenze lasciò a me. Per inciso voglio precisare che una decina di anni fa mi arrivò dalla Capitaneria di Porto di Siracusa una lettera per chiedermi i titoli di proprietà di tale veranda. Esibii un documento, ben conservato con planimetria allegata, firmato dell’allora notaio Agnello di Comiso per dimostrare, “diabolica probatio”, che quei 36 mq erano stati acquistati in modo perfettamente regolare. Infatti mio nonno, molto scrupoloso, fece redigere un progetto e costruì questa casa, dalle alterne fortune”.
“Punta Secca che fosse un borgo antichissimo era già noto sin dall’antichità e ancor oggi lo testimonia la monumentale torre, costruita secondo del calcoli astronomici ben precisi, come del resto tutte le torri costiere di avvistamento e di difesa. La torre, come ben sappiamo, era utilizzata per difendere il territorio dalle incursioni piratesche e anche, nell’ ottocento e nei primi del novecento, per difendere le grandi proprietà della Marchesa Celestri. La torre, inizialmente, era collegata con la casa Arezzo tramite un ponte levatoio, che io calpestai frequentemente, quindi la nostra casa si trovava proprio di fronte a quella sovrana torre”.
“L’abitazione sin dai primi del Novecento è stata sempre la nostra residenza di villeggiatura – prosegue nel suo racconto scrupoloso Diquattro -. La casa era sempre frequentata da personaggi illustri, da Gesualdo Bufalino a Leonardo Sciascia, scrittori di grande spessore, siciliani. Elvira Sellerio, famosa editrice, in quegli anni aveva pubblicato un romanzo di Sciascia dal titolo “I pugnalatori”. Il romanzo trattava una cospirazione tenutasi a Palermo ancora prima del Regno dei Borboni, in cui lo scrittore, fortemente sicuro della sua impunità, raccontava che uno dei cospiratori fosse il principe Gaetano Starrabba di Giardinello, padre del principe Francesco, ultimo erede, che risiedeva a Punta Secca, in una casa immersa in quell’ultimo polmone verde, purtroppo oggi scomparso e cementificato”.
“Il principe Gaetano, soprannominato “u muncu”, era stato purtroppo in galera per debiti, per cui Sciascia in un suo capitolo de “I Pugnalatori”, raccontava le disavventure di questo nobile decaduto. Il caso volle che in una delle nostre riunioni estive pomeridiane, venne a trovarci il principe Francesco Giardinello e io con grande piacere lo presentai a Sciascia. Ci sedemmo nella famosa veranda e ad un certo punto fui molto imbarazzato, ricordando da quanto scritto da Sciascia nel suo romanzo. Pensai subito ad un piccolo alterco fra loro due. Ma non fu così. Da grandi gentiluomini i due iniziarono a discutere. Il principe Gaetano, con grande umiltà ma fiero, dichiarava che effettivamente la sua famiglia non nuotava nell’oro e che il padre era stato sempre un uomo di sani principi morali. Sciascia, leggermente imbarazzato ma con grande spirito di comprensione, si scusò con il Principe e rispose: ‘Ho l’onore di conoscerlo e se avessi saputo prima, non avrei osato scrivere quell’ episodio, me ne scuso…’”.
“Passarono gli anni, e in una delle tante estati, Elvira Sellerio, venne a Punta Secca con suo fratello. Incantati dal posto, presero subito in affitto la casa del dott. Scillieri, che si affaccia ancor oggi sulla spiaggia su questo mare azzurro, testimone di tantissime civiltà. Iniziammo a frequentarci, trascorrendo dei pomeriggi in lunghissime passeggiate, fino ad arrivare alla piccola sorgente d’acqua che fuoriesce proprio sulla spiaggia, dopo il Palmento, e ancora superando uno scoglio, dalle sembianze di un coccodrillo (ancor oggi ben visibile), e proseguendo sino alla così detta “Grotta di Ernesto”, conosciuta in tutti i suoi particolari dall’allora maestro Panagia, grotta che fu resa famosa poi nell’ultimo romanzo scritto dal compianto Lucio Mandarà, sceneggiatore, soggettista e regista alla RAI negli anni 60-70, dal titolo “Una grotta per Ernesto”. In uno di quei pomeriggi estivi, dopo quelle lunghe passeggiate ormai divenute abitudinarie, insieme a Bufalino, Sciascia e la Sellerio ci riposammo a casa mia. Seduti in veranda, al tramontar del sole, iniziammo a discutere e io attentamente assistevo nello sguardo di Elvira uno strano intuito. Gli chiesi cosa le balenasse per la mente e mi rispose con la sua proverbiale pacatezza che voleva scommettere con se stessa per la realizzazione di un progetto molto ambizioso: trasferire su pellicola le storie di un commissario, tratte da un romanzo di Andrea Camilleri, all’epoca ancora poco conosciuto al grande pubblico. Forse era una follia, come lei stessa affermava, ma il suo intuito le imponeva di scommettere. Ne discutemmo a lungo, e dopo alcuni mesi invitammo Cammilleri per una breve vacanza, per iniziare a discutere di tale progetto. Camilleri, arrivato a Punta Secca, fu colpito dalla bellezza sia della casa sia di quell’atmosfera incantata che avvolgeva il nostro piccolo borgo marinaro. Io personalmente all’inizio avvertii un piccolo dissenso per la scelta della casa, molto signorile e quindi non adatta ad un Commissario che vive di stipendio. Ma il gioco era già fatto. Da quell’ incontro con lo scrittore, si realizzò l’intuito strabiliante di Elvira Sellerio. L’ idea fu proposta a Roma, agli organi competenti, e subito dopo, nel 1998, la Palomar con tutto il suo esercito di tecnici, attori, produttori e quant’altro, iniziarono le prime timide riprese. La regia fu affidata ad Alberto Sironi e il ruolo del Commissario Montalbano a Luca Zingaretti”.
Antonella Galuppi
Gianni Giacchi