Veronica, le motivazioni del Gup: “Condotta deplorevole e menzognera”
“Il falso alibi fornito, le diverse versioni sui fatti, le plurime contraddizioni, i tentativi di accusare altre persone, la condotta processuale spregiudicata e calunniosa, ribadita in forma glaciale e senza tentennamenti anche davanti al giudice costituiscono comprova dell’inverosimiglianza di amnesie dissociative retrograde”. Lo scrive il Gup Andrea Reale nelle 194 pagine delle motivazioni della condanna a 30 anni di reclusione di Veronica Panarello per l’uccisione del figlio Loris, di 8 anni. Veronica Panarello avrebbe avuto quindi “una condotta deplorevole, reiteratamente menzognera, calunniosa e manipolatrice”. Reale nelle motivazioni della condanna della donna, osserva che la definizione coniata per lei dal Riesame di ‘lucidissima assassina’ “appare benevola” perché emerge “oltre all’evidenza” che “è stata lei da sola” ad avere commesso “senza pietà e pentimento il più ‘innaturale’ dei crimini”.
Secondo il giudice la donna non ha ucciso con premeditazione, ma per “un dolo d’impeto, nato dal rifiuto del bambino di andare a scuola quella mattina e dal diverbio nato con la madre, il cui contenuto è conosciuto soltanto all’imputata”. False sarebbero anche le dichiarazioni della donna che hanno chiamato in causa il suocero Andrea Stival, accusato di aver partecipato al delitto. “Inattendibile e falsa – scrive il Gup – la chiamata in correità del suocero”, tanto da giustificare la “trasmissione degli atti alla Procura per calunnia nei confronti di Andrea Stival”. La donna ha “indicato un movente turpe, gravissimo, sconvolgente”, nella minaccia del figlio Loris di rivelare al padre la presunta relazione della madre con il suocero, che avrebbe ucciso il nipote per zittirlo. Ma, osserva il giudice, “non è provata la relazione tra i due” che resta “una dichiarazione dell’imputata senza indizi a confronto”. Ma non solo: è “inverosimile e smentito dai tempi di percorrenza” il presunto incontro col suocero prima del delitto. Per il giudice, Stival ha “un credibile e forte alibi” confermato da testimoni e dalla localizzazione di un cellulare.
Nelle motivazioni si parla esplicitamente di “sindrome di Medea”, di “figlicidio per vendetta”, ultimamente indicato dagli esperti come “figlicidio motivato da rivalsa”. Un sentimento che “colpisce il suocero, oltre che il marito e il figlio, in una spirale di cieca distruzione della idea di famiglia e dei valori che essa stessa incarna”. Secondo il Gup la donna avrebbe “trasferito nel figlio e nel rapporto con lui le frustrazioni e l’odio patito nella sua famiglia d’origine e ha riversato le incomprensioni avute con le proprie inconsistenti figure genitoriali”. Il simbolo della genitorialità e della vita si sarebbe trasformato, scrive il giudice, in “un crescendo di inesorabile forza distruttiva, simbolo di oppressione e di morte, di distruzione di parte di sé, del proprio sangue, e, in conclusione, si se stessa e del suo ruolo di madre e di moglie”. Confermata, infine, la dinamica dell’omicidio: Loris sarebbe morto strangolato con delle fascette e la donna avrebbe poi occultato il cadavere nel canalone e nascosto lo zainetto. “La responsabilità dell’imputata», colpevole di «una condotta deplorevole, reiteratamente menzognera, calunniosa e manipolatrice”, “è dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio”.
VILLARDITA: “PRESENTEREMO RICORSO”
“Restiamo fermi nella nostre posizioni: presenteremo impugnazione dopo avere studiato con attenzione le 190 pagine, che a una prima lettura non ci convincono sul piano della crimino-dinamica, dell’assenza di movente e dell’elemento soggettivo”. Lo dice Francesco Villardita, l’avvocato difensore di Veronica Panarello. La sede per il secondo grado di giudizio è davanti la Corte d’assise d’appello di Catania.