Tutto pronto per San Giuseppe: storia e PROGRAMMA della festa patronale
Come ogni anno a Santa Croce Camerina, il mese di marzo sarà dedicato in gran parte al patrono San Giuseppe: l’evento infatti risulta essere quello più atteso di tutto l’anno dai Santacrocesi. Una fede che si rinnova da più di un secolo e mezzo, in particolare dal lontano 1832, quando il parroco di allora, l’arciprete Gaetano Carratello, fece costruire la bellissima statua in legno di cipresso, vista la devozione da parte dei cittadini al santo Patriarca di Nazareth, che già da anni in data 19 marzo gli offrivano tavolate ricche di primizie del territorio da destinare poi ai più bisognosi, partecipando poi, numerosi, alla messa in suo onore. La statua, come molte altre raffiguranti il Santo che troviamo nelle chiese siciliane, fu scolpita nelle botteghe dei rinomati scultori Bagnasco di Palermo. Quella che si venera nella Chiesa Madre di Santa Croce, è stata affidata al sedicenne Salvatore, figlio del mastro Girolamo Bagnasco, che si dimostrò all’altezza del proprio mestiere, realizzandola quasi fosse una persona vera: da notare infatti l’espressione del volto, curata nei minimi dettagli e la struttura in generale possente del simulacro con le varie curvature.
Negli anni trenta e quaranta del 900, poi, aumentarono le realizzazioni delle tavole chiamate in gergo “Cene”, da parte di famiglie o devoti al Santo, o che avevano ricevuto una grazia speciale; furono inoltre donate nel corso del tempo oro e argento “ex voto” al simulacro e in particolare due aureole e il bastone fiorito che troviamo oggigiorno perennemente collocati nella statua; l’Aureola sul capo del Patriarca e quella sul capo del bambino vennero donate per testamento, nel 1840, da una venditrice di pane, tale Maria Giuseppa Pisella, originaria di Crotone, mentre il bastone fiorito è stato donato dalla baronessa di Santa Croce, Concetta Rinzivillo, nel 1852. Nel corso degli anni il simulacro venne fatto uscire in processione, per permettere così la benedizione da parte del Protettore alle case e alle famiglie del posto, e come la festa, in autunno, dell’antica patrona Santa Rosalia, risultava essere molto partecipata. Dal 1994 la festa divenne ufficiale, infatti il Vescovo di Ragusa Mons. Angelo Rizzo, giorno 13 marzo, con un solenne rito durante la Santa Messa, elevò San Giuseppe a Patrono e protettore principale della città per volontà del popolo.
Oggigiorno i festeggiamenti sono caratterizzati da un settenario di preparazione spirituale che inizia con la tradizionale “scinnuta ro Santu” due sabati sera prima della festa esterna: in tale giorno avviene, appunto, la discesa del simulacro del Santo dalla cappella ottocentesca di venerazione con la quale esso viene traslato sino al transetto sinistro della Chiesa vicino l’abside, dove resterà per due settimane. Il culmine della festività è la domenica della festa esterna (solitamente quella che precede o segue il 19 marzo), caratterizzata dalle tradizionali marce sinfoniche per le vie della città, dalla vendita all’asta dei doni precedentemente raccolti dal comitato feste con la questua mattutina, in piazza Vittorio Emanuele II, e soprattutto dalla partecipatissima processione esterna nel tardo pomeriggio con l’effige del Santo, seguita dallo spettacolo pirotecnico a Fonte Paradiso in tarda serata. Ma l’elemento caratterizzante della festa è la “Cena”, come già accennato, una tavolata ricca di pane, primizie, dolci e vino, che le famiglie e di recente anche le scuole e le associazioni, realizzano in onore al Patrono.
La tradizione vuole che a mezzodì del 19 marzo, della vigilia della festa e in particolare della festa esterna, tre persone (o un numero multiplo di tre), raffiguranti la Sacra Famiglia, magari poveri del territorio, si recano in Chiesa madre per la benedizione da parte del Parroco e la dovuta riverenza al Santo Patrono. Dopo, insieme alla banda cittadina e ai fedeli tutti, si recano nella casa o nella sede dove è stata allestita la Cena dal giorno precedente; l’anziano o l’adulto che rappresenta San Giuseppe bussa per tre volte ma è solo alla terza volta che la padrona di casa, apre la porta e accoglie “i Santi” con una speciale formula di benedizione recitata da San Giuseppe, ripetuta tre volte: “A n’cantu, a n’cantu c’è l’Angilu Santu: Lu Patri, lu Figghiu e lu Spiritu Santu!”. Così inizia il Sacro rito: prima di mangiare insieme tutto quello che si trova nella tavolata, la padrona o suoi mandanti portano in tavola la pasta precedentemente preparata in cucina, “A Principissedda” al pomodoro; dopo che “I Santi” ne hanno mangiato, incominciano ad assaggiare quello che si trova in tavola, e così faranno, successivamente, tutti i commensali invitati; se qualcuno ha parenti malati o conosce persone più bisognose del paese, si portano loro una parte di alimenti e in particolare i svariati tipi di Pane.
Il pane di S. Giuseppe infatti è l’elemento principale nella “Cena”: si presenta in molteplici forme ma tutte caratterizzate dalla pasta dorata in superficie e dall’ottimo sapore della pasta realizzata da mani sapienti di anziane signore. Abbiamo: “A varva” (volto e barba del Santo), “U vastuni” (bastone fiorito del Santo), “A Rosetta” (Rosa del Bastone); “U Iaddu” (Il Gallo) e “A Spera” (L’ostensorio), ma i più grandi sono “i Cuccidati”, in forma circolare, posizionati nel posto a sedere dei “Santi”, dunque se ne trovano tre o suo multiplo, a secondo di come si è deciso, mentre in fondo alla tavola, sotto il quadro della Sacra Famiglia e vicino alla immancabile lampada ad olio, accesa per tutto il tempo dell’esposizione della tavolata, troviamo il pane a forma di “S” e di “G”: le iniziali del Santo. Oltre al pane abbiamo altri simboli della Cena, quali: l’acqua che rappresenta la grazia purificatrice, essa viene versata in una brocca con la quale “I Santi” si lavano le mani prima di mangiare; il vino che rappresenta la letizia, usato per lo stesso motivo dell’acqua; sopra le ampolle di vetro si mette un’arancia amara o i limoni che rappresentano le amarezze della vita dell’uomo, ancora le arance dolci che rappresentano la speranza e la fiducia nella vita, il grano detto dal volgo “U Laúri”, raffigurante il lavoro dell’uomo ed infine, per decoro, le composizioni floreali, dato che la festa cade nella settimana dell’arrivo della primavera.
Quest’anno gli appuntamenti principali sono: sabato 5 marzo la tradizionale discesa del simulacro, alle 19:30; sabato 12 la visite alle Cene, la Messa solenne con il vescovo Carmelo alle 18:30, la serata musicale in Piazza e lo spettacolo di fuochi; domenica 13 la festa esterna; sabato 19 si ricorda, invece, la solennità liturgica con le Messe Solenni; la sera con la riposizione del simulacro nella propria nicchia, si concluderanno infine i festeggiamenti patronali.